GLISSER – elisa ferrari – foto&grafia

Storytelling di Parole e Fotografie per chi vuole lasciare un segno indelebile in questa vita.

Leggimi, correggimi e guidami ancora Prof.!

Mentre pensavo a quanto sarebbe stato magnifico e un onore, presentare a luglio, al parco Amendola di Modena, il mio libro con te e Sandra, secondo gli accordi presi appena venti giorni fa, apprendo da una notizia di giornale repentina (forse troppo) della tua morte improvvisa.

Sappi che io non ci credo. Chiamo Sandra subito, senza troppi convenevoli. “È vero” dice in lacrime! “È successo poche ore fa.” Io non credo neppure a lei.

Ero felice. Ero felice di aver mantenuto fede agli accordi che avevamo preso io e te, nel 1999, quando mi rispondesti deciso, al mio “Prof. nella vita scriverò, anche dei libri e li dedicherò a lei perché in questi anni scolastici lei ha creduto in me e ha alimentato questa fiammella che arde dentro al mio petto”. “Guai a lei!” dicesti “Lo so che lei pubblicherà libri e scriverà per sempre, ma mai nominarmi finché sono vivo, è una cosa che si fa con i morti quella cosa delle dediche e dei messaggi strappalacrime sui libri. Sono come Van Gogh diventerò famoso sui suoi libri dopo la morte. D’accordo?”. E con una stretta di mano ci accordammo.

“E se non faccio Lettere all’università, lei sarà deluso, Prof.?”

“Elisa, sarò deluso solo quando smetterà di scrivere e di coltivare la sua passione e di realizzare i suoi sogni. No all’università di Lettere. Sì allo scrivere!”

Poi con la prima pubblicazione non mantenni proprio fede alla promessa e lei mi ricordò l’accordo. È che era troppo poco che avevamo finito la scuola di teatro anche, oltre le superiori, le nostre commedie e io avevo già quel senso di vuoto della fine di un pezzo di vita che credevo di perdere e invece il tempo mi fece comprendere che avevo dentro alla mente più di quanto potessi immaginare, pronto a restare lì per sempre.

Il ricordo più bello mio e tuo, Prof.? Ce ne sono così tanti. Però il primo a cui penso ora è quello sul palcoscenico teatrale, fuori dall’aula, dopo la fine delle superiori, quando ci esibimmo con le performance teatrali con le platee piene di pubblico e in uno degli ultimi spettacoli, io ero una ebrea e morivo dentro una camera a gas. Ti ricordi? Caddi a terra nella mia veste bianca.  Un ragazzo della polizia tedesca mi prese per i piedi e trascinò il mio corpo fuori dal palcoscenico. Avevo i capelli lunghi che rimasero incagliati nelle assi del pavimento sconnesso del palco, durante quella scena e io improvvisamente per la tirata micidiale di essi, tornai in vita e mi sollevai. Il pubblicò sobbalzò e io con lui e in quello smarrimento sopraffatta dai tremendi “e adesso che faccio?” compare lei da sotto il palco che mi suggerisce di dire una battuta.

NULLA È PER SEMPRE, NEPPURE LA MORTE.

Poi mi accasciai nuovamente e morii ancora, con meno capelli addosso, ma questo è un dettaglio.

Ecco, questa battuta in questi tre giorni me la sono ripetuta nella mente come un mantra, pensando a te e versando lacrime su lacrime. Ho pianto come nei giorni in cui morì mio nonno, di cui ti ho raccontato spesso la sua vita di fuga dal campo di concentramento. E quel giorno che andammo in gita proprio a Mauthausen, quel campo di prigionia del nonno, ricordo che mi incupii parecchio e tu appoggiasti la tua mano sulla mia spalla come a infondermi la forza necessaria nella vita.

Lo hai fatto diverse volte anche in aula, solo attraverso uno sguardo dalla lavagna o da una frase che cadeva perfetta a rincuorare un giorno negativo. Sembrava che sapessi quando accadeva qualcosa di brutto, all’epoca della lavagna, ma non ne sapevi nulla, in realtà. Eri solo piuttosto magico. Un insegnante che sa insegnare la storia passata magnificamente, ma anche e soprattutto quella presente che prevede l’abitare questo mondo difficile.

Io ho continuato da allora a studiare e leggere libri, tantissimi anche sulla shoah, il tuo argomento preferito, per tutta la vita, sappilo. Accade tutt’ora. Succederà per sempre.

Odio i funerali. Sinceramente non avrei mai creduto di venire al tuo, ma dovevo accertarmi che era vera questa tragedia, realizzata nel cuore, come uno strappo, appena il portellone del carro funebre si è aperto e ho visto una bara di fiori bianchi e gialli. Giallo colore della vivacità che tu hai sempre, qualunque cosa accada. Una bella e tosta forza di vita, la tua. Io lo so, che spesso usi per scherzare prendendo a soggetto principale te stesso.

Poi hai deciso di morire per una strana coincidenza lo stesso giorno, il 26, in cui se ne è andato mio nonno e pure il funerale di 28 come lui. Sei nato invece nel mio mese preferito Ottobre, il 30, lo stesso giorno in cui se ne andò la mia nonna.

Quel giorno in cui morì la nonna, scrissi un post su Facebook che quest’anno rispolvererò in lacrime. Diceva “Nonna, hai scelto di andartene nel giorno di nascita di un grande essere umano di nome Francesco Maria Feltri, per me hai scelto la migliore opzione del calendario, ad essere sincera!” Anche quel giorno trovai questa come una coincidenza piuttosto karmica.

Che male che mi hai fatto, Prof., ora che dovrò dedicarti tutti i miei libri e ringraziarti su ognuno per tutto ciò che hai fatto per me, a partire dai banchi di scuola, facendomi amare la cultura, la storia, la lingua italiana, le parole. Dandomi la forza di non mollare mai nel coltivare la mia passione e nel raggiungere i miei obiettivi.

Io ho vissuto spesso come il giorno ultimo di esame della mia maturità. Non puoi avere dimenticato che sei stato a discutere con quella Prof esterna di Italiano che non voleva darmi il voto massimo nel tema. Avevo scritto un ragionamento che so che tu avresti capito e apprezzato ma che nessuno avrebbe capito. Lei non lo capì e non lo trovò pertinente e tu sì e dicesti “Non mi muovo da qui fino a quando non si decide di far uscire Elisa Ferrari con il massimo dei voti da questa scuola”. Quel giorno vincesti tu. Io aspettavo fuori dall’aula e non capivo come mai ci mettevate tutto quel tempo. Poi tu uscisti e ci scappò un bellissimo e indimenticabile abbraccio. Per tutti gli altri giorni a venire, non ho mai disatteso il raccontare ciò che volevo dire davvero, anche solo per raggiungere una sola persona a discapito di tutte le altre. Lo farò per sempre. Questo mi hai insegnato a fare, con grande rispetto alla vita, educazione, ma senza disattendere mai il mio pensiero, la mia capacità di riflettere sulle cose.

Ti prometto che adesso lo faccio diventare un lavoro vero. Lo scrivere, intendo. Vivrò di questo.

“Ma non si vive di scrittura, Prof.!” ti ho detto ripetute volte.

“Ma chi lo ha detto? Certo che si vive, guarda me, scrivo più parole di quanto inalo respiri”.

Avrei voluto raccontartela a Luglio, questa novità, dal vivo, ma lo faccio ora che so che mi senti. Proverò a dimostrare che valgo un numero, forse anche più di quello che chiedo.

Intanto parlando di numeri… 26-28-30, quelli più pesanti da vivere. Ogni volta che arriveranno questi giorni io ti penserò più forte di tutti gli altri, ma non ci sarà giorno in cui non ti ricorderò.

Grazie per tutto quello che hai seminato in me in questa vita e spero tantissimo, con tutto il cuore, di incontrarti ancora nella prossima. Grazie per il grande valore che hai coltivato nel mondo dell’insegnamento. Tutti dovrebbero incollarselo nella mente e nel cuore e seguirlo come un mantra costante, per provare a divenire immensi quanto te. Anche se sarà impossibile replicarti. TU RESTI UNICO, COME INSEGNANTE E COME UMANO.

Nel frattempo, metterò in pratica ciò che ho scritto nel mio libro, perché la notte è di chi non sa morire e in questo caso è tua, perché in me vivrai per sempre.

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